Giornalista agrigentino attivo sul territorio nazionale da molti anni, Nino Randisi pubblica con SimplyBook “Siamo tutti cosa loro”, un libro che racconta dei rischi di chi va in rete e della violazione della privacy da parte dei gestori dei social network, in particolare del notissimo Facebook che raccoglie migliaia di dati degli utenti, effettuando spesso censure gratuite e non oscurando, invece, quelle pagine che inneggiano alle mafie e alla criminalità organizzata.
Questo è il tuo primo libro o no? Cosa ti ha spinto a scriverlo?
Questa è la mia prima pubblicazione sistematica.
In tutti questi anni della mia lunga carriera giornalistica sia nel mondo della carta stampata, della tv, della radio e del web non mi ero mai cimentato in una pubblicazione organica di fatti e avvenimenti che mi sono accaduti nel mondo dei social ed in particolare su Facebook.
Quindi partendo da questa mia vicenda personale, ho voluto descrive una situazione con la quale poi di seguito hanno dovuto far fronte migliaia e migliaia di utenti nel mondo.
La narrazione di questi fatti risalgono nel tempo e precisamente intorno agli anni 2008-2009 allorquando il mio account sul social media Fb venne un giorno disabilitato perché quotidianamente denunciavo tutti quei gruppi di persone che inneggiavano e lodavano le gesta dei mafiosi. Gruppi che contavano centinaia di persone e che non erano oggetto di alcuna censura.
Ho riaggiornato il testo con le nuove indicazioni che gli amministratori a seguito delle norme approvate nel tempo dal legislatore, avvertono i propri iscritti quali comportamenti tenere in pubblico. Utenti che spesso sono in balia dei gestori dei social quanto a privacy e riservatezza.
Partiamo dal Titolo: come mai hai scelto proprio questo?
Ho scelto questo titolo “Siamo tutti cosa loro” perché descrive esattamente la situazione degli utenti dei social che vengono “osservati” e “controllati” dai gestori, i quali hanno in mano i nostri dati, anche quelli più intimi e personali, scambiati, ad esempio, attraverso le chat e le comunicazioni che avvengono per mezzo della la messaggistica.
Quando hai iniziato a scrivere questo libro, da cosa eri mosso?
Lo spirito è quello di far riflettere le giovani generazioni, ma anche gli adulti, dei rischi che si corrono sul web per i tanti che mettono in rete la loro vita nei social, sia quella reale che quella
fantastica che spesso descrivono, ma che non corrisponde però al loro vissuto quotidiano. Nella società dell’apparire, della mediocrità culturale e dei messaggi vacui e della violenza gratuita e fine a se stessa, occorrerebbe maggiore “intimità” nei rapporti personali.
Quali sono gli elementi della scrittura più importanti di questo libro?
La scrittura segue un percorso agile e complessivamente il testo è di facile lettura. Non è un trattato filosofico, ma lo scorrere degli avvenimenti è descritto “ in cronaca”.
Quali convinzioni sta sfidando il tuo libro?
Il testo probabilmente sfida la convenzione comune che le piattaforme dei social media servono solo a dare spazio alle nostre idee offrendoci una tribuna privilegiata dove far sentire la nostra voce. Per la verità invece i social molto spesso finiscono se usati in modo spasmodico per creare seri problemi di dipendenza e di isolamento sociale. Un mondo virtuale slegato dal reale contesto che finisce per creare danni.
Come concili la scrittura con la tua carriera professionale?
La scrittura è la mia professione. Fare il cronista è stato utile anche per realizzare questa pubblicazione che, lo sottolineo, non ha mire didattiche o didascaliche, ma solamente aprire un’ulteriore riflessione sul variegato mondo dei social.