Intervista a Luigi Bontà, curatore della raccolta d’Arte Spes#22

Intervista a Luigi Bontà, curatore della raccolta d’Arte Spes#22

Spes#22 sarà una raccolta d’Arte, curata da Luigi Bontà, che conterrà prodotti culturali di artisti esclusivamente sancataldesi e spazierà tra varie forme artistiche, come scrittura, pittura, scultura, fotografia, grafica 3d, musica e altre ancora.

San Cataldo aprirà le danze ma SimplyBook replicherà il progetto in diverse città d’Italia.

Immaginate una serie di libri che, dalla stessa idea di base, si espandono e crescono, dando spazio a diverse realtà, ma sempre sotto il segno dell’arte come veicolo di cambiamento e di valorizzazione.

Approfondiamo adesso con Luigi le principali caratteristiche di questa innovativa operazione editoriale.

Questo è il tuo primo libro in qualità di curatore?

Non è il primo.

Cosa ti ha spinto ad accettare tale operazione editoriale?

Si tratta di un volume collettaneo curato dallo scrivente la cui natura, in realtà, esula dai miei consueti scritti di carattere squisitamente storico. La ragione per cui ho accettato la sfida risiede nel tentativo di misurarmi con qualcosa d’inedito; una nuova avventura, del tutto inusuale che si intreccia con un’altra ragione ancora più profonda, la “carità del natio loco” di memoria dantesca, che rimanda all’amore delle proprie radici.

Partiamo dal titolo, tuttavia non del tutto definitivo al momento.

Potrebbe essere Spes#22, tuttavia per stabilire il titolo definitivo sarebbe auspicabile attendere che gran parte dei lavori siano in nostro possesso, per meglio fissarlo. Ad ogni modo, sono due i concetti che dovranno tenere insieme gli artisti: la Spes, speranza, e il paese di San Cataldo, simboleggiato dal blasone popolare 22.

Come mai hai scelto proprio questo titolo?

In tempi in cui anche la speranza ci ha abbandonati, almeno così sembrerebbe nella percezione collettiva, mi sembra opportuno, a partire da un interrogativo kantiano, (“che cosa mi è lecito sperare?”), focalizzare l’attenzione sull’agire umano e sulla sua consapevolezza e responsabilità di consegnare un futuro certo alle nuove generazioni. Ricercare la speranza in qualche modo ha valore terapeutico per curare il nostro spirito. Non a caso il detto popolare “la speranza è l’ultima a morire”, che peraltro rimanda a quello più antico “Spes ultima dea, s’incunea tra gli alveoli del cuore, un bisogno primordiale del genere umano di cui – come la vita – non ce ne possiamo disfare. Questo concetto che ha i piedi per camminare, fa parte dunque dello statuto umano e può sembrare una folle utopia per fanciulli incantati. In realtà, un pizzico di sana follia ci permetterebbe di far palpitare i nostri cuore per aggrapparci a quel filo di speranza, lasciandoci incantare dalla natura e dall’umano.

In una società polverizzata e ansiogena in cui alcuni hanno perso la fede in qualcosa, altri sono assaliti dalla paura e altri ancora sono attanagliati dal loro cinismo, si fa fatica a vedere oltre la siepe, direi hanno un respiro corto, mentre la speranza detiene un xiatu più ampio perché emana una energia emotiva positiva.

L’altro concetto che s’intreccia con il primo è la follia, codificata dal numero dal sapore cabalistico, 22. Essa non rimanda al significato latino, per cui il termine riassume allo stesso tempo i malati di mente e i giullari, né si lega al senso assunto nel medioevo di miscredente e eretico. Un concetto che dunque non agisce sulla condizione “mentale”, non ha nulla di patologico se non quello di riconoscersi parte di una comunità, quella sancataldese, imprevedibile, creativa e dal fare industrioso.

Quando hai iniziato a curare questo libro, da cosa eri mosso?

Sono almeno tre le ragioni che mi hanno spinto a curare questo testo: la prima risiede, come ricordato sopra dal legame di appartenenza alla comunità di origine; una seconda è da collegare alla novità del progetto editoriale, di per sé stimolante e per certi versi pieno di incognite, visto che una molteplicità di linguaggi artistici dovranno sviluppare il tema della speranza per il nostro territorio; l’ultima, invece, fa appello alla funzione dell’arte, impegnata a sollecitare riflessioni sulle sorti della nostra comunità, a generare stupore, passione e a riscoprire il potere e la forza dell’agire artistico di modo che si possano abbattere i limiti del quotidiano.

Quali convinzioni sta sfidando questo libro?

La sfida più avvincente penso che sia la convinzione collettiva che la cultura si occupi di cose “inutili”, un hobby come tanti, senza considerare invece che si tratta di una vero e proprio lavoro intellettuale che può dare buoni frutti lavorativi. Un altro stereotipo da smontare ci porta ad interrogarci sulla funzione dell’arte e dunque dell’artista, il quale non è un tipo strano, saturnino, come si rintraccia nell’immaginario collettivo, ma colui che segna il tempo e lo decodifica, anticipando, talvolta, tendenze e orizzonti.

Quali sono gli elementi della scrittura più importanti in questo libro?

Mi limiterò a trovare il punto di saldatura tra le innumerevoli suggestioni e linee di ricerca che ci verranno offerte dagli artisti per cercare di chiudere in qualche modo il cerchio della narrazione e di dare una cornice di senso.

Come concili la scrittura con la tua carriera professionale?

Cercando di ottimizzare il tempo a mia disposizione.