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E se fosse per sempre

Avvincente romanzo rosa che vede protagonisti Gioia e Manuel: dopo anni di comunità, Gioia è pronta a iniziare una nuova vita. Rimasta sola dopo la morte della nonna, deve trovare al più presto un lavoro. L’opportunità arriva quando riceverà una proposta che le cambierà la vita.

13,00 

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Scadenza campagna: 20 Ottobre 2024 14:52 pm

“Dopo anni di comunità, Gioia è pronta a iniziare una nuova vita. Rimasta sola dopo la morte della nonna, deve trovare al più presto un lavoro. L’opportunità arriva quando la chiamano per prendersi cura di una signora anziana. Il suo compito è farle compagnia e aiutarla nelle piccole cose quotidiane, trasferendosi nella sua lussuosa villa. Lì, si imbatterà nel nipote, un ragazzo scontroso che si diverte a metterla a disagio. Gioia, che non perde mai il sorriso, pian piano si affeziona ai componenti di quella famiglia che la accolgono con tanto affetto inaspettato, ma continua a non sopportare quell’insolente che la guarda spesso in modo inopportuno e la punzecchia in ogni occasione. Sembra però che i suoi guai siano appena iniziati… perché abitare sotto lo stesso tetto la costringe a incontrare proprio chi vorrebbe evitare. Gioia conosce solo la parte peggiore di Manuel, perché lui indossa una maschera per nascondere un passato che l’ha fatto soffrire e si sa: la parte migliore di noi si dona solo alle persone speciali.”

 
C’è il sole oggi. L’aria è tiepida e ormai la primavera è alle porte. Saranno circa
due ore che sto davanti all’armadio a cercare qualcosa di decente da indossare per questo colloquio. Il fatto che gli ultimi tre siano andati male non mi aiuta. Però devo almeno provarci, perciò faccio un respiro profondo e provo l’ennesimo paio di pantaloni. Alla fine opto per la camicetta azzurra, un paio di jeans e la mia giacca blu porta-fortuna. Beh, o almeno lo era fino a qualche tempo fa. Ora non me ne va bene una. Lancio un’occhiata all’orologio appeso alla parete grigia e mi accorgo che si è fatto davvero tardi, per cui afferro la borsa e corro fuori. «Buona fortuna!», mi urla dalla cucina la proprietaria di casa vedendomi passare e la sua voce ha un tono sarcastico. Sono due mesi che non pago l’affitto della camera, ma sono anche due mesi che non trovo lavoro e i pochi risparmi che avevo li ho usati per pagare le tasse universitarie.
«Grazie», le dico ed esco dalla porta prima che possa ricordarmi che, se non pago in tempo, potrei ritrovarmi per strada tra qualche giorno. Se ci penso mi sento ancora mortificata per quello che mi ha ringhiato contro l’altra sera. «Due, sono due», continuava a dire guardandomi in cagnesco e calcando il concetto con la mano indicando lo stesso numero. «Sì», avevo risposto. «Lo so, ma deve capire che sto facendo tutto il possibile per trovare un lavoro». Ma il suo tono non era cambiato di una virgola sottolineando che “al prossimo ritardo avrebbe fatto trovare tutta la mia roba fuori dalla porta”. Io guardavo di sottecchi il figlio che continuava a ingerire tutto ciò che aveva nel piatto, con la bocca sporca di sugo e la t-shirt con una macchia di dubbia provenienza e di chissà quanti secoli fa. Ricambiava il mio sguardo quasi con superiorità e disprezzo e io, nonostante tutto, un po’ lo invidio, almeno lui ce l’ha una mamma e un tetto sicuro.
Mi fermo di fronte all’ascensore e attendo impaziente che si liberi, non mi va di fare cinque piani di scale. «È rotto!», mi urla l’inquilino di sopra che sta scendendo le scale. «Di nuovo», aggiunge in tono aspro quando passa accanto a me. Dannazione, ci mancava solo questa. Sospiro e mi arrendo, dovrò correre se voglio arrivare puntuale. Nonostante la piacevole giornata quasi primaverile il quartiere ha dei colori spenti, pieno di smog causato dalle macchine che vanno di qua e di là. Pur essendo una zona periferica è piuttosto trafficata a quest’ora del mattino per via delle fabbriche vicine. Metto in moto l’auto, riprendendo fiato dalla corsa giù per le scale, detesto il rumore che fa la sua carrozzeria vecchia. Guardo il foglio poggiato sul sedile accanto al mio per rileggere l’indirizzo e svolto l’angolo, non è molto lontano da qui per cui potrei anche arrivare non troppo in ritardo. Ripasso in mente il discorso che ho preparato per la presentazione e dall’ansia quasi dimentico persino la mia età. Eh no, Gioia, così non va. Più mi allontano dal quartiere dove vivo più sembra che il cielo stia cambiando colore, passando da una sfumatura grigiastra a una di un azzurro intenso. Mi fermo al semaforo e ne approfitto per dare un’occhiata alla vetrina alla mia destra. La moda quest’anno impone colori vivaci: rosso, blu, giallo, e io ripenso al mio guardaroba pieno di t-shirt bianche e maglioncini bordeaux o neri. Colori parecchio scuri insomma.
Un’ombra attira la mia attenzione, mi volto di scatto alla mia sinistra e vedo il solito ragazzino con la spazzola in mano pronto per lavare i vetri. «No no!», dico facendo cenno con la mano. Lui resta un attimo con la bottiglietta piena di acqua e sapone sospesa per aria, poi con un sorrisino annuisce sollevando la spazzola. Suona quasi come una provocazione. Batto le mani sul volante, apro lo sportello e metto un piede fuori dall’auto. «Ma insomma!» gli urlo. «Cosa non ti è chiaro della parola ‘no’?». «Va bene, va bene, okay!», fa lui sollevando bottiglia e spazzola dal mio vetro. «Calma, signora, calma», continua ridacchiando. Stringo gli occhi a fessura, gliene direi quattro se non fosse che l’auto dietro di me inizia a fare un’orchestra con il clacson per indicarmi che il semaforo è diventato verde e subito risalgo in auto per ingranare la marcia e ripartire. È diventata una routine mattutina ormai ed è esasperante, questi ragazzini hanno letteralmente invaso i semafori e ogni volta che scatta il rosso è una guerra. Ingrano la marcia, mollo la frizione ma l’auto sobbalza e il motore si spegne.
Cavoli, succede ogni volta che sono in ritardo. Non ho neanche il tempo di rimettere in moto che sento una forte botta dietro di me e la mia auto si sposta di qualche centimetro. Scendo affannata e mi volto verso il ragazzo alla guida che, nel frattempo, si precipita fuori per controllare gli eventuali danni. «Ma che diavolo fa?», gli urlo spazientita. Lui alza lo sguardo su di me, toglie gli occhiali da sole dal viso e mi osserva distrattamente con una smorfia di disgusto. «Cosa faccio io? Tu piuttosto, non sai guidare e fai pure la saputella? Ringrazia che la mia auto non si sia fatta niente. Ora sbrigati a far ripartire il tuo carroccio, ‘che ho fretta», risponde. Ha un’aria da riccone spavaldo che mi manda in bestia. Odio i ricconi spavaldi, ma questo li supera tutti. Rimango a bocca aperta cercando l’offesa più dura da rivolgergli, ma mi torna in mente il mio colloquio. Devi stare calma, Gioia. Non ne vale la pena. Scuoto la testa e torno in macchina. Giro la chiave ma l’auto non parte e, per il nervoso, do un pugno sul volante. «Forza! Andiamo!», dico tra i denti quando dietro di me il clacson dello stronzo torna a suonare.
Lo osservo dallo specchietto retrovisore e lo sorprendo ad alzare le braccia in segno di protesta. Me ne starà dicendo di tutti i colori. Giro di nuovo la chiave e qualcuno lassù deve aver provato pietà per me, stavolta parte. Volto di nuovo lo sguardo allo specchietto, si sta ancora lamentando, così sporgo il braccio dal finestrino e con molta nonchalance gli dedico un dito medio. Poi ingrano la marcia e riparto di corsa. Di solito non mi rivolgo mai così, sono una persona molto calma e riesco a trattenere i nervi, ma è riuscito a far uscire il peggio di me. Ora però basta, Gioia. Fa un respiro profondo e rilassati.

L’autore