0 out of 5 based on 0 customer ratings

24 giorni al termine della campagna

Copie prenotate

24

Partecipanti

4

Siamo tutti cosa loro

La comunicazione in rete è pubblica. I social network mettono in piazza anche la nostra privacy. Spesso non possiamo difenderci da chi ruba i nostri dati più sensibili. Nel volume si ripercorre la vicenda dell’autore su Facebook che ha avuto un eco nazionale per il suo impegno antimafia.

15,00 

126 disponibili

Scadenza campagna: 9 Febbraio 2025 9:07 am

INTRODUZIONE

La comunicazione in “rete” è assolutamente pubblica: è mondiale e non ha segreti o quanto meno questi sono – nonostante le nuove norme e i nuovi accorgimenti-  facilmente violabili dagli hacker sempre più aggressivi. Vale per le mail, per le password, per Skype etc. A meno che oggi non si voglia comunicare con i piccioni viaggiatori o con    “pizzini”, nulla di quanto comunichiamo in rete ( chat ed altro ancora) lo possiamo ritenere, sacro, inviolabile. Anzi. Se da un lato si comprende bene l’esigenza da parte dell’autorità di Polizia di intercettare comunicazioni tra terroristi o di appartenenti alla criminalità organizzata e alle mafie, dall’altro ci si deve rendere conto che scrivere sul web e più precisamente sui social, anche nella forma privata, intima, non è affatto al riparo da suddette violazioni.  Sul web, è bene ricordarlo, occorre giustamente seguire una serie di regole di buona educazione, riassumili col termine “netiquette” che per l’appunto disciplinano il buon comportamento degli utenti della rete. Una sorta di galateo che riguarda mailing list, blog, reti sociali, forum, neewsgroup etc. Tra i tanti interrogativi che ci poniamo da sempre, soprattutto nel  mondo dei socialnetwork vi è quello che fa riferimento all’utilizzo  dei nostri dati, anche in un modo improprio, che ne possono fare gli amministratori dei social, allorquando, ad esempio, ci bloccano per qualsiasi ragione l’account ( anche se tutto ciò è normato e ben specificato nel codice di comportamento). Qui adesso vogliamo ricostruire la vicenda che mi ha riguardato nel lontano 2009 e che suscitò una serie di interrogativi sulla gestione del social da parte degli amministratori americani. Una situazione che si è verificata nel periodo di massima crescita del sito Facebook di Zuckerberg e di Moskowitz  è che nel suo accadimento è stato abbastanza emblematico.

Ecco come venne stata riportata da alcuni media nazionali la notizia della soppressione del mio account personale (Nino Randisi) da Facebook.

Un messaggio in italiano. Freddo, burocratico. “Sì dice così: il tuo account è stato disabilitato da un amministratore. Se hai domande o dubbi consulta le Faq”.Scompaiono così da Facebook centinaia di contatti ma soprattutto una intensa attività di comunicazione sulla mafia e la realtà siciliana. E la posta personale. Nino Randisi è un giornalista. Un dirigente sindacale della sua categoria nell’isola, uno che ha preso molto sul serio il social networking come strumento di comunicazione civile: “Mica si potrà Mica solo scrivere, ho mangiato, ho dormito e tutte quelle altre fesserie che si leggono, no? Si potrà pur comunicare qualcosa di più serio e di più drammatico?“.

Avevo 500 amici. Ogni giorno pubblicavo video di YouTube sui latitanti più pericolosi. Mettevo materiali che scottano, tutta documentazione seria su argomenti importanti. E mi seguivano in molti. Adesso tutto quello che ho pubblicato finora è andato perso. Ma io non mi arrendo, mi sono rifatto l’account con altri dati e ho ripreso a pubblicare. Voglio proprio vedere cosa succede adesso. Pensa un po’, hanno tolto qualche pagina su Riina, ma ne hanno lasciato altre dove si parla di mafia in tono elogiativo, e il mio spazio, che è una pagina *contro* la mafia, me lo disabilitano? Randisi è uno dei tanti cui accade questa disavventura facebookistica. A un certo punto qualcuno ti “denuncia”, le tue cose scompaiono, i dati e i contenuti che hai immesso, compresa la posta personale, svaniscono nel nulla. In molti casi – ci risulta -l’account viene riabilitato dopo le proteste, è successo perfino per qualche deputato. Ma intanto sapere “dove” e con chi protestare è molto complesso.

Randisi sembra pensare che qualcuno, dall’Italia, possa aver chiesto l’intervento contro la sua pagina. Ma il punto certo è che Facebook, piattaforma dove ormai più di 6 milioni di italiani esprimono i loro pensieri e le loro proteste, pubblicano le loro immagini e si mandano la loro corrispondenza, non ha nel nostro paese – che si sappia -nemmeno uno “sportello” cui indirizzare i propri reclami. Quella che ha colpito Randisi potrebbe essere censura o disguido. Si vedrà. Ma se almeno il danneggiato potesse parlarne a qualcuno, forse anche i sospetti diminuirebbero.

Ora proprio da Repubblica apprendiamo che l’account è stato ripristinato e che, secondo fonti interne al sito che hanno preferito restare anonime, il tutto sarebbe nato da un errore di valutazione del software che Facebook usa per valutare eventuali violazioni del codice di condotta. In altre parole si vorrebbe evitare che il network venisse usato a fini commerciali o propagandistici ma risulta quantomai evidente l’impossibilità di raggiungere questo scopo, di qui i ripetuti fallimenti del programma… che a quanto pare funziona così: Vengono tenuti sotto controllo il volume delle comunicazioni di un account, il numero di video o di testi pubblicati, la direzione delle attività – ad esempio se un numero anomalo di messaggi viene indirizzato a una sola persona. Se una di queste cose accade, il software opera una sorta di sospensione cautelativa dell’account, non lo cancella.

Un sistema diabolicamente sicuro, come si è già visto in passato. Ricorderete tutti infatti i numerosi casi avvenuti, tra cui quello del parlamentare Matteo Salvini, sospeso e riammesso circa un mese dopo. Anche in quel caso si erano rincorse le voci di censura e alla fine, in mancanza di comunicazioni chiare da parte degli amministratori, l’intera vicenda è rimasta coperta da mistero.

Tutto è bene quel che finisce bene? Forse, ma non sarebbe il caso di cominciare a riflettere sugli errori commessi, almeno istituendo una sorta di ufficio reclami? Cresci, caro Facebook, se non vuoi essere inghiottito dal tuo stesso gigantismo”.

Secondo gli amministratori di Facebook si è trattato, alla fine, di un imprecisato problema tecnico la mia cancellazione e quindi estromissione dal social network. Probabilmente il caso, tra primi in Italia, ha suscitato tanto di quel clamore, che da Palo Alto negli Usa, hanno pensato bene di riattivarmi l’account in meno di una settimana, ma senza chiedere scusa ovviamente. Neppure una laconica mail in lingua inglese. Di certo c’è che a Milano dove di sicuro a quell’epoca vi erano “ i controllori” dei contenuti, avevano ritenuto che la misura era ormai colma allorquando quotidianamente sul mio profilo ricordavo agli amministratori del popolare social, che era una  vergogna, un grave errore, una follia, tenere in rete tutti quegli iscritti, tutti quei gruppi che inneggiavano a personaggi come Riina e Provenzano, oggi defunti, e più in generale alle mafie, alla camorra e alla ‘ndrangheta. Profili, questi, che raccoglievano centinaia e centinaia di aderenti, certamente teste calde e vuote che esaltavano le gesta di boss, gregari e guappi nostrani. La cosa migliore, pertanto, di fronte alle mie non certo tenere osservazioni, era quella di “bannarmi” di sospendere dalla rete il mio account personale, visitato ogni giorno da quasi tutti i miei “amici”. Avevo dato fin troppo fastidio in un momento in cui il social cresceva nel Europa e in Italia in modo esponenziale nei confronti delle altre piattaforme che perdevano così iscritti, proprio in favore di Facebook. Ed è notorio, più iscritti, più pubblicità, più soldi per il giovane Mark Zuckerberg.

La mia vicenda, balzata agli onori della cronaca nazionale e non solo, è divenuta più sconcertante per il fatto che il direttore di Repubblica on line dell’epoca, il collega Vittorio Zimbardino, dopo qualche giorno dalla mia intervista, veniva a sua volta oscurato da Facebook.

Totale Partecipanti4
Totale Libri Prenotati24
Obiettivo finale-360,00 
Remaining
Data inizio campagna11 Novembre 2024
Data fine campagna9 Febbraio 2025
Giorni rimanenti24 giorni, 14 ore, 52 minuti, 56 secondi al termine della campagna
-

126 disponibili

L’autore